Munari pedagogo
La questione che vorrei trattare in questo post, è molto semplice, quindi ho un po’ paura di cadere nella banalità!
Ragion per cui, passo subito al sodo, affrontando il tutto nel modo migliore che posso, per farvi amare Munari come ho imparato ad amarLo io.
Spero di riuscirci.
Munari era un artista, che non ha perso mai il Suo spirito infantile ed è forse proprio per tale ragione che ha trascorso parte della carriera a contatto con i bambini, osservandoli ed “educandoli” alla Sua maniera.
Sosteneva (giustamente) che i bimbi di oggi sono gli adulti di domani e che quindi bisognasse fare di tutto per renderli migliori dei “grandi”.
Per noi genitori dell’epoca presente, tutto questo è assolutamente normale, facciamo partecipare i nostri figli a milioni di laboratori didattici, ma per l’epoca era rivoluzionario…forse proprio questo nonnetto è stato l’inventore dei famosi su citati “Laboratori per bambini!”
Il nostro artista ha passato l’infanzia nella campagna veneta ed è in questo contesto che ha incominciato a sperimentare.
Osservava la macchina galleggiante passare sul fiume Adige o la grande ruota che girando portava con sè, non solo acqua, ma anche piume di gallina, carta, foglie…
Ovviamente sarà stata questa esperienza a far sì che Bruno Munari diventasse prima un grande creativo e in un secondo tempo, un pedagogo.
Cito una Sua frase:
“Durante l’infanzia siamo in quello stato che gli orientali definiscono Zen: la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante quelle attività che gli adulti chiamano gioco. Tutti i ricettori sensoriali sono aperti per ricevere dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le distanze, la luce, il buio, il suono e il silenzio… tutto è nuovo, tutto è da imparare e il gioco favorisce la memorizzazione.
Poi si diventa adulti, si entra nella ‘società’, uno alla volta si chiudono i ricettori sensoriali. Non impariamo quasi più niente, usiamo solo la ragione e la parola e ci domandiamo: quanto costa? A cosa serve? Quanto mi rende?”
Il tatto è uno dei sensi che vengono più utilizzati dai bimbi nella prima infanzia, ed è proprio da lì che Munari inizia lo studio.
Già durante il periodo futurista si occupa di questo argomento, creando delle tavole tattili con diversi tipi di materiale: ruvido, liscio, morbido, duro etc.
Ma pensate: addirittura crea, negli anni 50, i primi giocattoli in gomma piuma. Il primo era il Gatto Meo, poi la scimmia Zizi; semirigidi che potevano comunque muovere gli arti.
Ma più che altro ha iniziato, nell’ultimo periodo della vita, ad impegnarsi nell’organizzazione di questi laboratori.
Vorrei ricordare il primo in assoluto, raccontato anche sul sito dell’Associazione Bruno Munari…www.brunomunari.it (che continua il lavoro dell’artista tutt’ora)
Siamo nel 1977 a Milano, presso la Pinacoteca di Brera.
In questo contesto l’artista vuole raccontare l’arte e i singoli quadri ai bambini, non facendo una lezione parlata, ma consegnano loro pennelli e colori.
I bimbi non imparano ascoltando, ma facendo. Per cui erano liberi di disegnare quello che volevano e sentivano. Potevano cercare di imitare un’opera o scarabocchiare semplicemente.
Si giocava all’arte visiva!
Per un bambino non è importante capire l’arte, questa è una preoccupazione da adulti, l’importante è sperimentare e aiutare loro a fare ciò che meglio sanno fare.
“Aiutami a fare da me”…
Da questo primo tentativo, inizia una serie di laboratori che hanno permesso di creare il “metodo Bruno Munari”.
Un metodo usato sia in Italia che all’estero e che applica i principi della pedagogia attiva che detto così, sembra una cosa complicatissima, ma che in realtà è di una semplicità estrema, ossia lasciar spazio ai nostri figli di creare e sperimentare solo al fine di scoprire e di imparare.
“Siccome è quasi impossibile modificare il pensiero di un adulto, noi ci dovremo occupare dei bambini. Gli uomini e le donne che formeranno la nostra prossima società futura, sono già qui adesso, hanno 3 anni, 5, 7… Propongo quindi di allestire, nei musei, alcune salette come laboratori per bambini, dove questi possano andare al museo a giocare all’arte visiva…”
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