Monet, le Ninfee e un Amico
“Ho bisogno di qualche tempo, per capire le mie Ninfee… le avevo piantate per puro divertimento, le coltivavo senza pensare a dipingerle. Un paesaggio non entra sotto pelle nell’arco di un giorno. E poi, all’improvviso, ebbi la rivelazione di quanto fosse magnifico il mio stagno, e presi la tavolozza…”
Pensare ad un lago pieno di Ninfee, è già di per se uno spettacolo bellissimo, ma pensare ad un quadro di Monet è uno spettacolo!
Il lavoro sulle Ninfee inizia nel 1897 e continuerà dopo il 1914, viene continuamente intervallato da viaggi e vicende personali.
Già dalle prime serie comunque sono presenti elementi completamente innovativi che verranno ripresi ed inspireranno moltissimi artisti nelle epoche successive.
La superficie dell’acqua, nella quale galleggiano le Ninfee e riflettono le nuvole, danno all’osservatore la libertà di guardare senza nessuna guida o prospettiva.
La zona chiara del cielo, passa nella metà inferiore del dipinto, mentre la parte alta è scura e ritrae la vegetazione, ribaltando l’equilibrio tradizionale delle immagini.
In particolare, nelle opere dopo il 1905, in cui l’autore restringe ulteriormente il campo visivo, il mondo reale viene rappresentante soltanto dalle Ninfee che vengono riprodotte con macchie di colore e dalle loro foglie, che successivamente (dal 1914 in avanti) diventano appena abbozzate.
Il reale che si trasforma in irreale.
Uno spazio onirico in cui arrivano emozioni di intimità e solitudine, grazie anche all’assenza completa della profondità.
Le Ninfee vengono dipinte a grandezza naturale su enormi tele di dimensioni differenti raggiungendo addirittura i 12 metri.
Ma per quale ragione Monet, nell’ultima parte della Sua vita, si concentra unicamente su questo tema? Cosa vede in queste Ninfee?
La risposta è nascosta, tra le altre cose, in una grande amicizia.
La preoccupazione di un amico per le sorti di Monet…
Vi sto parlando di Georges Clemenceau, amico di vecchia data dell’artista che vede Monet spegnersi lentamente in una profonda depressione causata dalla perdita della moglie Alice e poco dopo del figlio Jean.
Georges non sopporta vederlo lasciarsi cadere in questa profonda crisi umana e creativa e così cerca di incoraggiarlo a riprendere in mano l’ambizioso progetto lasciato da parte delle “Grandes Décorations” e spronato dal caro amico rincomincia a dipingere.
Purtroppo lo fa in un momento storico molto delicato: alla vigilia dell’inizio della prima guerra mondiale, perciò ben presto è assalito dai ripensamenti dubitando che sia ingiusto dipingere mentre ci sono uomini in battaglia che perdono la vita.
Monet decide quindi di dare lui stesso un contributo allo stato francese e dopo l’armistizio del 1918 con l’aiuto di Clemenceau dona alla Francia due “Grandes Decorationes” per celebrare la vittoria.
Nel 1922 finalmente, viene sottoscritta la donazione che prevede la collocazione di ben otto dipinti nelle sale ovali dell’Orangerie di Parigi.
Monet, ormai praticamente cieco, lavora alacremente alle tele fino al giorno della Sua morte, il 5 dicembre 1926, ne esistono ben duecentocinquanta differenti.
L’anno successivo le Ninfee vengono presentate come eredità di Monet nello spazio a loro appositamente destinato nell’Orangerie delle Tuileries.
Fuse in questo luogo di meditazione non sono una semplice decorazione, assumono il ruolo di arte vissuta emotivamente.
Pensate: nella cultura giapponese uno stagno di ninfee simboleggia il riflesso dell’animo umano.
Anche se, alcuni critici, vedono nelle Ninfee un semplice motivo decorativo, esse rappresentano la natura interiore dell’artista che si unisce a quella esteriore della natura.
Di tutto questo mio leggere sulle Ninfee, la cosa che mi ha fatto più pensare è il valore dell’amicizia, quella vera di un uomo che vede un amico sprofondare e che farebbe qualunque cosa per tirarlo sù….
Raccontava Clemenceau : “Non appena il Suo pennello si fermava, il pittore correva ai Suoi fiori o si sedeva volentieri sulla sedia a dondolo per riflettere sui Suoi quadri. Con gli occhi chiusi, le braccia pigramente abbandonate, cercava immobile vibrazioni della luce che erano sfuggite e al mancato successo di questo tentativo, forse immaginario, seguiva un’acuta riflessione suoi progetti di lavoro.”
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