Alberto Giacometti: la visione della vita.
Questo che segue è uno dei post più “sudati” della mia breve esistenza di blogger.😰
Alberto Giacometti.
A prima vista, il senso delle opere di Giacometti, sembra abbastanza eloquente, ma se si studia e si approfondisce l’argomento si capisce che non è così!
Principalmente i temi su cui si incentra l’artista sono: “la casualità delle molecole e il terrore dello spazio”…..booooooooooh!!!!
Due temi semplicissimi…(non credo nemmeno di capirne il significato!)😳
Tuttavia, secondo me, le sue opere sono meglio comprensibili se analizzate in termini più semplici, ossia: la condizione umana.
Una testimonianza, fisica della lotta solitaria che si affronta quotidianamente e che si riflette nelle forme scheletriche con cui Giacometti raffigura i suoi soggetti.
L’artista ha creato la superficie di queste sculture sottili e alte, tramite il gesso, lavorato attorno ad un filo metallico ed in seguito fuso in bronzo.
Le figure appaiono fragili e piene di crescite simili a stalagmiti, ma ridurre il tutto a quest’ultima visione, è troppo superficiale; infatti si tratta di una scelta dell’artista che nasconde all’interno un significato ben peggiore.
Ognuna di queste creature è sola, ognuna si porta dietro la propria fetta di individualità…una specie di creazione di mostri solitari, che hanno in comune solo le enormi basi su cui si reggono, completamente sproporzionate rispetto alla loro reale dimensione.
Il nulla dell’uomo nello spazio è testimoniato principalmente dal vuoto che avvolge le figure: in sostanza lo spazio stesso diventa opera.
Uno dei capolavori che meglio descrivono, a parer mio, questo “nulla” è il “Cane”, risalente al 1951, nel quale lo spazio non si accontenta di avvolgere la forma , ma comincia anche a mangiarla, a consumarla come acido muriatico, finché non resta quasi nulla se non la carcassa con un filo di zampe.
Anche nella pittura, Giacometti cerca di far intendere all’osservatore questo significato intrinseco…per esempio, mi ha molto colpita il disegno intitolato “Interno” in cui l’artista raffigura in modo isterico tratti che cercano di unire la figura ai muri e ai mobili, ma che alla fine ottengono l’effetto contrario: le cose risucchiano l’uomo, avvolgendolo ad una visione grigia.
Infine mi vorrei soffermare su l’opera “Piazza”. Le figure sono collocate in un’affollata piazza cittadina, rappresentata dalla base in metallo. Pur essendo un luogo di aggregazione, per Giacometti è un luogo in cui sconosciuti passano l’uno accanto all’altro, guardando in direzioni diverse, rifiutando qualsiasi interazione. Un luogo alienante in cui gli incontri e i rapporti tra le persone sono inquietanti.
In un certo senso è come se mi stessi, anzi, ci stessimo specchiando.
Mi sveglio al mattino (6,27 la sveglia) mi riaddormento, mi sveglio di soprassalto…oddio sono in ritardo, sveglio mio figlio…”dai corri che è tardi!”, colazione, cani, scuolabus, via al lavoro, palestra, lavoro, casa, cena, cani, nanna….e poi si ritorna alla casella “VIA”.
Sono invasa dalle domande, dai perché…
Perché se andiamo al supermercato, la merce è sempre messa nella medesima maniera…?
Chi ci insegna che è bello stare sempre sulla nostra piastrella, o nell’angolo dove nessuno ci può vedere?…. Mai dare troppo nell’occhio, mai rischiare.
Mai esporsi, mai parlare, frequentare solo luoghi conosciuti, con persone che conosciamo e stare al comodo nella nostra finta sicurezza.
Io però non mi voglio accontentare…voglio uscire da questo “Truman Show”…
Carino vivere fino all’orizzonte, ma di al di là? Che cosa c’è al di là…
Giacometti ci ha rappresentati bene, ma non capisco o forse non ho trovato nulla io, tra le sue opere non c’è niente che ci faccia vedere l’altra faccia della medaglia che ci insegni come fare per uscire dal tunnel della quotidianità.
Essere artista e limitarsi a considerare solo una parte di stato mentale non è, per me, completamente giusto.
Forse non vedeva una via di fuga, ma una soluzione c’è sempre…voi cosa ne pensate?
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